Il senso del tempo nello yoga

Il senso del tempo nello yoga -a cura di IRENE Lonigro

Il normale scorrere del tempo si arresta quando iniziamo a osservare. Quando la nostra attenzione si sofferma. Cosa accade? Dov’è il tempo in questi momenti, quando sembra scomparire e lasciare spazio a un grande vuoto?
È come se il tempo si riposasse, accanto a noi, per lasciarci come in attesa dell’accadere di qualcosa, che neanche noi conosciamo. Così anche un dettaglio, una sensazione sottile, il suono del respiro divengono dei piccoli miracoli. E noi siamo in grado di vederli, di coglierli, perché – nella pratica – siamo in un atteggiamento di ascolto, perché lasciamo che le cose ci sorprendano.
Il tempo dello yoga, secondo me, è fatto di
Pazienza.
Ascolto.
Immobilità.
Non un’immobilità dove nulla si muove, dove tutto è deserto. Ma un’immobilità ricca, densa. E qui stiamo noi, la nostra presenza, la nostra pratica. Qui impariamo ad avere rispetto verso le cose e verso noi stessi. A rispettare la lentezza, rispettare il silenzio.Lasciare che i cambiamenti avvengano, ma senza forzare: lasciare alle cose i loro tempi perché maturino.
E, più di tutto, il tempo dello yoga è fatto di
Espansione.
È il nostro sguardo che incanala energia e fa espandere l’oggetto su cui si sofferma. Il momento presente diviene esteso, e noi stessi perdiamo i nostri confini abituali, per abitare in un tempo nuovo, più calmo, più profondo, più grande.
Abitare questo tempo fa paura. Perché qui tutto viene alla luce, e dobbiamo affrontarlo da soli. Nello yoga abitiamo la solitudine, quella solitudine che deriva da un contatto diretto con noi stessi. Non c’è più nulla a schermarci, a difenderci. Siamo soli nell’osservare il nostro accadere.
Possiamo trovare aiuto e conforto nel gruppo, andare per un po’ con le altre persone, fare un pezzo di strada per mano. Condividere. Ma l’ultima parte di strada dobbiamo farla da soli, l’accesso alla nostra interiorità è solo nostro.
Solo alla fine, riprendiamo coscienza di quello che abbiamo intorno, delle persone amiche che hanno praticato con noi, e le ringraziamo. Sappiamo che anche loro hanno affrontato questo tempo – il tempo dell’ascolto – e che forse anche loro hanno avuto paura, oppure si sono sentite bene, finalmente nutrite.
Ascoltiamo il canto finale, l’om,e le nostre voci paiono tante colombe che spiccano il volo, in uno stormo arioso.

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