“L’ abitudine: prigione mentale o ricchezza?”
Ho avuto occasione di ragionare sul valore dell’abitudine con un gruppo di detenuti del carcere di Pavia.
L’abitudine può essere opprimente in alcuni contesti, come quello carcerario, tanto da rappresentare il “fantasma” con il quale è necessario fare i conti ogni giorno.
E tuttavia non è il contesto penitenziario in sé ciò di cui si è parlato in quell’incontro, piuttosto si discuteva dell’attenzione e della disattenzione che abbiamo verso le cose della nostra vita. Quegli oggetti, quelle persone o ancora quei paesaggi che ci costituiscono perché vi siamo immersi quotidianamente e che è facile dare per scontati.Pensiamo alle cose fondamentali, di cui non potremmo fare a meno: sono proprio queste che più spesso dimentichiamo.
Il mare, ad esempio, lo apprezziamo proprio quando ce ne allontaniamo, quando viaggiamo lontano dalla costa e sentiamo un vago senso di scoramento e di nostalgia.
Le relazioni che ci definiscono, con cui quasi abitiamo uno stesso corpo, sono così abituali che manchiamo di rifletterci.C’è un bel racconto di due pesci. Uno chiede all’altro: “com’è l’acqua?” e l’altro, confuso, risponde: “che cos’è l’acqua?”.
Questa piccola storia ci dà modo di riflettere su che cosa costituisce la nostra “acqua”.
Siamo sicuri di sapere rispondere se qualcuno ci chiedesse: “dove siete immersi?”, “quale è il vostro mare?” Forse bisogna ogni tanto fare emergere la testa dall’acqua per renderci conto di dove nuotiamo.
Eppure solo con la testa nell’acqua è possibile nuotare veramente. Se fosse quindi giusto tenere la testa sotto? Soltanto così siamo capaci di viverci dall’interno, di essere veramente coinvolti in quello che facciamo. Qui sta il discrimine tra il vivere e il guardarsi vivere.La domanda allora non è se l’abitudine sia un valore positivo o negativo, ma se il nostro modo di affrontarla sia quello giusto.
Si parla spesso di buone e di cattive abitudini. Vorrei riflettere su due accezioni della parola. La prima è l’abitudine come costanza, metodo, disciplina. Intesa in questo senso, l’abitudine è qualcosa che ci forma, ci plasma e che viviamo consapevolmente. Non la subiamo, perché abbiamo verso di essa un atteggiamento attivo.Più spesso pratichiamo Yoga, più naturale saranno per noi i movimenti, maggiore la sintonia con il corpo e con il respiro. Lo Yoga si fonda sulla pratica costante. La costanza ci dà il senso di uno spazio sempre più vasto in cui esprimere noi stessi con padronanza.
Qui l’abitudine, la ripetizione degli esercizi respiratori, corporei o sonori, non è una gabbia in cui ci sentiamo prigionieri. E’ il manifestarsi di una libertà sempre maggiore.
Approfondire è proprio questo: appassionarsi a qualcosa tanto da riviverla tutti i giorni della nostra vita. Posarvi il nostro sguardo attento e coglierne i dettagli.
Lo Yoga ci insegna a coltivare questa “postura”, questo modo di vivere; ci educa a osservare le mutevoli manifestazioni del nostro essere, ad ascoltarci più nel profondo.Questa grande intimità con noi stessi, nasce dalla conoscenza di tutte le nostre parti. Le membra del corpo, che ci accompagnano fedelmente da quando siamo nati; la parte emotiva e quella mentale, che ci aiutano a esplorare il mondo; infine quella spirituale. Da questa consapevolezza totale è possibile procedere alla costruzione di un sé più integro e completo. L’abitudine, se vissuta con profondità e con coscienza, può esserne la chiave.
Essa, tuttavia, è anche all’origine di quegli schemi e cristallizzazioni che limitano il nostro sviluppo personale. E’ la fonte dell’attaccamento verso ciò che è inessenziale, materiale o ancora che non ci appartiene più. L’abitudine come attaccamento ha un effetto negativo sulla nostra evoluzione, perché blocca, anziché stimolare la fioritura delle nostre capacità. E’ proprio nel momento in cui proviamo con fatica a liberarci delle nostre abitudini, che ci rendiamo conto di quanto fossero radicate in noi.Credo che il primo passo da compiere sia quello di maturare un atteggiamento vigile e consapevole verso le abitudini. Quali sono, come e in che misura ci condizionano, come influenzano il nostro quotidiano e, infine, l’immagine che abbiamo del nostro futuro…. a cura di IRENE Lonigro
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